sabato 13 settembre 2008

Salterio

























Una musica arriva da un altro mondo. Sale lentissima. È portata da mani di seta. Vibra sgranando le note da vero carillon. È una musica vecchia come le tavole rotonde, persa come il destriero nel bosco e la dama imprigionata nella pietra.
Sembra buona da annusare. È eco in una cappella di lontananze erudite da un libro in copertina di damasco rosso rubino. Da un mondo diverso arpeggia fino a prenderti i polsi. Fino ad entrarti nel fiume di sangue e saliva. Fino a fluire in lacrime e ciglia in ancheggiare di ancelle e piccole giare di terre crude da seccare al sole. Goccia a goccia cade in pioggia incerta come sospesa in aria intarsiata nello zaffiro. Cerca le vibrazioni e si ferma nell'onda di risacche stese in giardini chiusi al pascolo delle divinità ansanti tra rose in boccioli di fresie e rapsodie.
È incedere tra percorsi di foglie secche, di fogli marciti nei cassetti chiusi dalla solitudine.
È densa da coppe delle donne al primo sbocciare di corpetti sciolti sui capelli tirati come corde di salterio all'angolo delle strade nei cortili di ghiaccio e di alluminio.

giovedì 28 agosto 2008

Issak e la sicurezza-io


A Stokville, nelle scuole s'insegnava a tutti gli studenti, fin da quando erano piccolissimi, che bisognava sviluppare bene una certa cosa che qui per comodità riportiamo con il nome tradotto di sicurezza-io.

Anche le mamme ed i papà di Stokville erano molto attenti che la sicurezza-io crescesse in maniera armonica allo sviluppo fisico e mentale del proprio figliuolo.

Issak era un menestrello bravissimo ed essendo un profondo conoscitore delle pietre di Stokville aveva scoperto che si poteva incidere la propria voce su lastre di pietrasfoglia.

E che queste pietresfoglie potevano riprodurre il canto se infilate in piccole scatole contenenti un ago di lamina nerusta.

Così Issak cominciò ad incidere le proprie ballate ed i canti e a riprodurli tramite le scatoleneruste.In breve tempo riuscì a vendere sia le pietresfoglie che le scatoleneruste.

Non aveva il tempo di costruirle che già erano a suonare nella casa del capitano Kius o della signorina Mikje: tutti volevano la sua invenzione e tutti erano disposti a pagare profumatamente e a ringraziare di cuore Issak.

In breve tempo ovunque nelle case di Stokville c'erano almeno una scatolanerusta e decine di pietresfoglie.Soprattutto ai bambini, alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze piaceva ascoltare la musica incisa da Issak.

E così Issak diventò molto popolare ed amato dal popolo di Stokville.

Ma la sua sicurezza-io cresceva a dismisura. Pensate era diventata assai più grande della sua testa.

La sicurezza-io si sviluppava come una sorta di gobba, ma, se proporzionata, era molto bella da vedere e rendeva il corpo robusto ed armonioso.

C'erano bellissime donne con una sicurezza-io così affascinante che era impossibile resistere alla loro seduzione e c'erano vecchi che l'avevano sviluppata così bene che restavano piacenti e interessanti fino alla fine dei loro giorni. Ma non per tutti era così.

Era facile incontrare giovanotti che sarebbero potuti essere bellissimi se la loro sicurezza-io non li avesse resi mostruosi o ridicoli.

Dei veri palloni gonfiati!

D'altra parte alcuni avevano talmente poca sicurezza-io da apparire monchi, deformi, con una scarnitura impressionante che a stento le mamme riuscivano a toccare senza provare quel ribrezzo che chiunque altro avrebbe provato.

Per questo educatori, insegnanti e genitori erano così attenti che la sicurezza-io crescesse bene ed in maniera giusta nei propri bambini.

I primi anni di crescita erano decisivi, ma anche quelli della giovinezza e dell'età adulta potevano influire sullo sviluppo armonico della sicurezza-io.A Stokville c'erano anche medici e maghi, maghe, farmacisti, erboriste e dietologi, biologi, vari studiosi che si occupavano della sicurezza-io.

Ogni giorno su tutti i giornali si potevano leggere le nuove scoperte, le terapie innovative o gli antichi rimedi, le cose da fare o le cose da evitare o da fare evitare ai più piccoli.

La sicurezza-io era così importante per il popolo di Stokville che condizionava totalmente la loro vita. Era sicuramente l'argomento principale delle loro conversazioni e influiva su tutte le decisioni: non si poteva fare un buon lavoro se sulle spalle non fosse stata visibile una bella sicurezza-io o non si poteva partecipare ad un concorso -fosse di lavoro, letterario o di bellezza- senza includere alla domanda la foto della propria sicurezza-io.

Eppure Issak aveva una sicurezza-io enorme, ma piaceva a tutti i giovani e anche a quelli meno giovani e ad alcuni vecchietti.

Pareva fosse proprio la sua mostruosità ad attirare la gente e che questa mostruosità si alimentasse dell'attrazione che la gente aveva nei suoi confronti.

Vari sociologi e psicologi cominciarono ad occuparsi di questo strano fenomeno: tutti gli adulatori di Issak ed Issak stesso avevano una sicurezza-io straripante, che li avrebbe dovuti rendere sgradevolissimi, invece erano davvero seducenti, affascinanti, irresistibili.

Issak soprattutto con quella sua enorme e bitorzoluta sicurezza-io era addirittura calamitante.

Sarebbe dovuto essere orripilante... riusciva a trasportare a stento la sua sicurezza-io... eppure appariva bello come un Adone, fulgido come un dio. Era acclamato dalle folle e desiderato dalle donne e dagli uomini. A mano a mano divenne l'essere più amato ed osannato.

I medici e gli studiosi smisero pure di fare esami ed accertamenti su questo fenomeno, che sembrava capovolgere anche tutti gli schemi della bellezza e della decenza.Insomma era in atto una Rivoluzione della Sicurezza-io ed Issak era il leader assoluto di questo movimento che inneggiava all'enormità della sicurezza-io.

Nacquero vari circoli e club, il più famoso dei quali era denominato The Big, poi c'era il The Bis ed una serie di altri che divulgavano il mito dello sviluppo estremo della sicurezza-io.Issak mise in onda anche Radio Sicurezza-io che, attraverso le scatoleneruste, divulgava musica e parole ed incitava a prendere coscienza del proprio corpo e ad esporlo nudo sulle spiagge e al mare di Stokville per esibire la propria traboccante sicurezza-io. Incitava gli ascoltatori a non vergognarsi delle dimensioni e suggeriva esercizi mentali e fisici per sviluppare al meglio la sicurezza-io. Erano cose semplici, ma funzionavano perfettamente ed utilizzavano spesso specchi, massaggi del partner, ampie scollature, creme ed unguenti miracolosi che lo stesso Issak vendeva assieme alle famose pietresfoglie che sembravano possedere un effetto magnifico sullo sviluppo della sicurezza-io.

Si cominciò ad asserire che questa fosse in assoluto la Rivoluzione più importante della storia di Stokville e chiaramente cominciarono ad esserci i primi scontri, perlopiù generazionali, che vedevano i vecchi professori, i docenti, alcuni genitori schierarsi contro i sostenitori più accaniti del pensiero della liberalizzazione della sicurezza-io come massima espressione di cultura e di arte.

Le giovani donne soprattuto avevano iniziato a camminare mezze nude con le spalle scoperte fino al culo per dimostrare che la loro sicurezza-io era pressoché illimitata ed ingombrava tutta la spina dorsale.

Questa nuova moda inviperì alcune vecchie di Stokville e tutti i vari santoni e le streghe, gli stregoni, tutti gli appartenenti alle sette conservatrici che avevano sempre professato la morigeratezza della sicurezza-io.Ci furono delle vere e proprie rappresaglie. E ci furono i primi morti. I primi martiri.

Issak tuonava da Radio Sicurezza-io e gli animi dei giovani s'infiammavano inturgidendo sempre più le loro gobbe.

I sostenitori della sicurezza-io divennero simili ad enormi tartarughe ed il loro carapace era uno scudo invincibile.

In breve tempo furono molto più robusti e forti dei loro avversari e siccome erano anche più giovani e professavano il sesso-sicurezza-io-liberalizzato divennero molto più numerosi ed i loro figli erano già grandi a pochi mesi.

La Rivoluzione durò nove anni.

A poco a poco, così come erano state costruite e distribuite le scatoleneruste cominciarono ad incepparsi... poi a bloccarsi del tutto, fino a diventare totalmente inutilizzabili.

Contemporaneamente tutti i rivoluzionari cominciarono a sentire uno strano sgonfiamento della sicurezza-io e le donne non ebbero più piacere a esporre la loro schiena nuda. Anzi tutti cominciarono dapprima ad avvertire un senso di prurito e poi ad avere un vero e proprio fastidio, un bruciore, una sensazione dolorosa di vergogna.

Qualcuno suppose che Issak si fosse improvvisamente sgonfiato, qualcuno altro asserì che era esploso... si disse pure che era fuggito, che aveva ingoiato quintali di lamina nerusta ed era morto... certo è che di lui non s'ebbe più notizia.

Dopo molti anni, quando la sicurezza-io non era neanche più visibile ad occhio nudo, ma era semplicemente uno stato d'animo dimenticato e le persone avevano paura anche di comunicare tra loro, si seppe che Issak era stato considerato pericolossissimo per l'igiene mentale e la sicurazza pubblica e, da un tribunale semi-clandestino artefice pure della manomissione delle scatoleneruste, era stato incarcerato. Proprio in galera era morto senza avere neanche la possibilità di parlare e di cantare perché gli era stato inflitto anche il taglio della lingua.

giovedì 19 giugno 2008

Così fan rutti!?


Doveva prenderlo per la lingua, maledetto lupaccio dei lupi spelacchiosi. Da giorni non gli dava pace e sì, che lui era un topino mansueto e dolce come il micio della Gigia. Gasp! Il solo nominare il micio rosso della Gigia gli faceva rizzare le orecchiette a cerchio perfetto posizionate sul capino rotondetto paffutello e super simpatico. Gasp! Si ripeteva topo Ligio, devo liberarmi di questo sguardo terribile del lupaccio. Da quando gli aveva fatto le linguacce, infatti il lupaccio Panclazio, così si chiamava quell'ammasso di peli e polvere, dicevamo, da quando topo Ligio gli aveva fatto vedere la sua spropositata linguaccia, Panclazio si era incazzato di brutto. Non lo dava a vedere, certo che no, ma il suo sguardo normalmente di lupo-pecorella era incredibilmente diventato rosso-demone, come gli occhietti a spillo spuntuti del diavoletto dalla coda moncata dal gatto della Gigia. Va be', però questa è un'altra storia, ma è una storia così spaventosa, ma così spaventosa, che il nostro piccolo eroe, topo Ligio, la dimenticò in un batter d'occhio. E appunto di occhi si stava parlando, mi pare. Se non ci fossero tutte queste interruzioni si potrebbe dire, appunto, che il lupo Panclazio, amico dell'orso orbo da un occhio, che poi l'occhio lo perse proprio quella volta che... eh, va be', se continuiamo così, sta storia di topo Ligio e lupo Panclazio non la finiamo manco per domani. Devo tirarlo per la lingua e così tutto si acconcia, ripeteva a voce bassissima, ma talmente bassissima, che sembrava come quando quel vecchio palloncino blu si è bucato o come quando la Gigia fa le bolle di sapone con la mitlagliatlice a laffica. Topo Ligio è il più bel topino della Gigia, se non fosse che quella volta perse il codino a furia delle calezze della Gigia, appunto, sicuramente avrebbe vinto quel “Concolso I Topini Più Pleziosi della Gigia”. Che peccato, quella volta! Lui fece solo il Telzo Plemio! Come se topo Bliciola o topina Malica fossero stati davvero più belli di lui. Beh, certo lui ha quella lingua enorme, ma avete mai visto un topino più bello di lui? No! Credo proprio di no: topo Ligio ha un nasino rosa e tondo come il più bel nasino rosa e tondo che si sia mai visto ed ha pure i baffetti posizionati a destra e a sinistra come i più bei baffetti posizionati a destra e a sinistra che si siano mai visti ed ha un bellissimo vestitino a lighe bianche e losa che gli calza ploplio a pennello, come dice la Gigia ogni volta che gioca un po' con lui a tila e molla. Ogni volta che la Gigia tila lui molla una bellissima linguaccia, ma così bella, ma così bella, ma così bella che la Gigia lide tutta quanta! Chi poteva immaginare che lupo Panclazio non avrebbe gradito la sua incredibile performace? Soprattutto di notte gli occhiacci rosso-demone del lupaccio spiccavano nel buio e agitavano tutti i sogni di topine di topo Ligio. Non ne posso più, si ripeteva il nostro eroe, devo avvicinarmi con prudenza e tirargli la lingua, ma come caspitarola dovrò fare a fargli aprire quella bocca con i dentacci a triangoli gialli? Un bel giorno la Gigia gli si parò davanti e chinandosi gli fece un bel rutto in faccia! Ti è piaciuto il mio luttone? Gli chiese più impertinente del solito, tanto che topo Ligio si preoccupò che stesse già diventando adolescente e gli adolescenti, si sa benissimo, spesso rinunciano ai loro giocattoli preferiti o li gettano dal balcone o li buttano nella pattumiera o li regalano o gli fanno i luttoni in faccia?! Però topo Ligio prese subito la palla al balzo, che significa non perse l'occasione, e rivolgendosi con quanto fiato aveva in gola a lupo Panclazio, disse: - Così fan rutti!? E tu li sai fare i super lutti della Gigia? Lupo Panclazio spalancò la boccaccia con i dentacci a triangoli gialli e lesto lesto, significa veloce veloce, topo Ligio si appese con tutta la sua forza alla lingua lunga lunga e fina fina del lupaccio. Immediatamente gli occhi del lupo diventarono occhi da lupo-pecorellissima e dalla sua bocca uscì una musica soave chiamata dalla Gigia callilion!
© Milena Esposito

giovedì 10 aprile 2008

Clof, clof

Cammino sulle foglie.
Clof, clof.
Alle mie spalle il rumore è diverso, diverso da quello che sento sotto i miei piedi.
E la gonna fruscia trasportando piccoli pezzi di rami morti.
Dietro il rumore è di acqua che scorre.
Cammino tra il nudo degli alberi.
Vado avanti sotto il nero delle nuvole chiuse.
Tutto è fermo.
Cammino nell'immobilità del mio passo.
Clof, clof.
Mi volto.
Vedo.
Vedo oltre i fichi.
Il cielo cola.
Si versa sulla terra. Scende diritto davanti ai miei occhi.
È una parete d'acqua.
Evapora.
È lì, oltre l'ultima pianta che a stento trattiene le sue foglie, è lì che piove.
Fittamente.
Le linee sono orizzontali.
Scendono.
Sfrusciano.
Scrosciano.
Chiudo gli occhi.
L'immagine non scompare.
È nelle mie narici.
È odore di foglie morte intrise d'acqua.
È umido, odore di umido.
Denso.
Troppo denso.
Potrei perdere l'equilibrio.
Porto indietro la testa.
Il collo si piega.
La testa pesa.
Il collo si piega.
Le labbra si schiudono.
Sete.
Tra labbra spaccate.
Sete.
Il naso fa entrare l'umido.
Dalla bocca sale il caldo del corpo.

martedì 8 aprile 2008

impotente



Quando passo davanti a un pesco di fiori non posso fare a meno di fermarmi e di guardarlo fissamente, finché sento che io stessa divento un pezzo di quel ramo.
Fin quando so che un fiore rosa sta diventando, lentamente, l'incarnato delle gote e gli stami sono la ruota delle mie iridi.
Lascio che il mio respiro diventi profumo e aspiro con il naso, con la bocca, aspiro con i pori di tutta la pelle.
E trasudo l'umore del pesco.
Resto con le dita aperte e con le braccia dure come il legno.
Non so, se quando dipingete fiori, diventate voi stessi fiori; se i vostri occhi si trasformano in petali o in gambi, se la rugiada cola sul vostro viso, non come lacrime, ma come brina vera; io vi assicuro che, se scrivo del mare, divento io stessa risacca e si trasformano i miei capelli ed i miei piedi in coralli lividi d'apnea.
Forse pensate che io stia ammattendo, ma vi assicuro che è così.
È così.
Sento che ciò che vedo mi rende diversa; sento di non poter guadare la danza della farfalla bianca senza avvertire che dalla mia schiena con forza quelle ali, da lame sottili, tagliano per uscire, squarciano tra pelle e ossa, ledono tendini e, miracolosamente, non senza dolore, spuntano.
E s'aprono.
E sbattono come ventagli indiani.
Divento il battito delle ali e da crisalide farfalla.
Il palpitare del mio petto s'amplifica con l'andare per fiori e fiori della farfalla bianca.
Io stessa m'agito a rincorrere altre farfalle capovolte, a farle rotolare spingendole nell'aria.
Ed devo scriverlo, devo appuntarlo sulla carta come un ricamo.
Fino a volere incidere con graffi d'eccitazione il foglio.
Non so se chi schiaccia formiche nere sui pentagrammi, che muteranno in musica, sente questa mia stessa smania d'inquietudine.
Non so davvero cosa mi piglia, ma se solo mi stendo sotto l'ulivo, lì, dove i rami toccano la terra e mostrano i frutti neri, quei frutti diventano le punte dei miei seni; quei frutti sono le unghie ed i polpastrelli della mia mano.
Devo accostarli alle labbra.
Farli scorrere sul bordo della bocca e strofinarli per giocarci.
Devo prendere il frutto ovale con la lingua.
Devo leccare le olive oleose.
Voglio avere il duro tra i denti, fino al punto di sentire tutto l'acre, che mi scorre dentro.
E l'uccello che salta, io davvero non so se non sono i miei occhi, che vanno in su ed in giù come animale intriso d'animo.
Io non so, se quando mi fermo ad osservare la foglia di fico che spunta dal ramo di alluminio, che non so staccarne lo sguardo, non so perché, ma mi pare il palmo della mia mano con le linee della vita, i monti, le stelle.
E le croci.
E le rughe.
Il fico che si spacca in stille di zucchero lucente è l'inguine schiuso al sole.
Ne sento l'odore dolce del tutto simile al mio.
La grossa infiorescenza profuma.
È un richiamo irresistibile per le narici. Sa di frutta matura: è odore delle foglie morbide e pelose, è essenza di lattice; ha sentore dei rami secchi bruciati, del frutto essiccato, di mandarino e lauro e noci.
Avverto la nota liquorosa.
Ogni cosa attira i miei occhi ed in ogni cosa io mi muto.
E dei gelsi neri ho il succo scarlatto a macchiare di sangue e tatuaggio la pelle.
E le punte intrise delle dita sono coccinelle che prendono il volo.
Dei miei capelli è il rosso delle rose e le spine, si, le spine... le spine sono il groviglio delle mie vene irrorate di linfa.
E le carrube pendule?
Ah, quelle brune carrube d'ebano sono certo le dita che arpeggiano le corde dell'aria.
Ne sento il tintinnare.
E non sono forse conchiglie le mie orecchie?
Non vi paiono davvero simili? Direi gemelle fatte per udire il suono del mare e del vento.
Sono nacchere di gitane, uguali e complementari.
E se questo mio discorso può apparvi strano, io vi assicuro che così in me riecheggia ogni spicchio di natura.
Come una spugna gocciolante intrisa di cielo, la felicità mi entra dalla bocca fino a quando l'eccitazione mi toglie il fiato e il pianto mi cola dagli occhi.

domenica 9 marzo 2008

La storia di Rossella e dei quattordici schiaffi



Dei più remoti che aveva avuto da bambina, non ne aveva più ricordo. Ma da quando sua madre le diede quello che prese per essere uscita con Andrea, cominciò -e credetemi non so il perché- a contarli.
“E uno!”. Si disse Rossella e si chiuse nella sua stanza, sbattendo la porta.
Passarono un paio di mesi e ricevette il secondo: “e due!”; contò Rossella. Questo secondo, però bruciava molto di più del primo e lo ricevette proprio da Andrea quando cominciava a piacere anche a sua madre, ma difficilmente i gusti tra madre e figlia coincidono, anche se ci sono sempre le eccezioni.
Ed infatti fu allora che Rossella pensò che Mario non le avrebbe mai dato uno schiaffo. Ma si sbagliava: in capo ad altri due mesi, proprio Mario - ex compagno di sua madre - le diede il terzo.
Fu quando Rossella, per farsi una doccia, dimenticò, sul comodino di Mario, il cellulare zeppo di messaggini di Elio. “E tre!”. Contò Rossella e, rivestendosi. uscì dalla casa di Mario per dirigersi da Elio, mentre Mario sbraitava qualcosa che terminava con...di tua madre.
Elio era il suo datore di lavoro e Rossella di solito lo chiamava il dottor Rinaldi.
Il dottor Rinaldi, affermato dentista, aveva uno studio in via Condotti.
Da circa quindici giorni, Rossella aveva iniziato a lavorare per lui e subito il dottor Rinaldi l'aveva riempita di attenzioni.
Elio Rinaldi era quello che solitamente si definisce un buon partito ed era anche un bell'uomo intraprendente.
Aveva uno di quei sorrisi tipici da dentista: un sorriso aperto, convincente e bianchissimo.
Sembrava la pubblicità ambulante di un dentifricio.
Rossella, però, pur non gradendo le sue attenzioni, non poteva cancellare i suoi messaggi dal cellulare.
È che – credetemi- li trovava divertenti.
Ed infatti lo erano; peccato che Mario non avesse un buon senso dell'umorismo, altrimenti ne avrebbe sorriso anche lui e probabilmente non le avrebbe dato quello schiaffo.
No, ma pensateci, come si fa a non divertirsi leggendo: “Sul tuo cellulale abbiamo lilevato un vilus inteldentale cinese ad alto lischio. Se non sollidelai pensandomi, il cellulale non ti squillelà mai più.”?
Rossella andava da Elio, anche perché era l'ora di aprire lo studio.
Certo non si sarebbe mai aspettata d'incontrare la persona che incontrò.
Beh, non che fosse proprio un incontro, per essere più precisa dovrei descriverlo come uno scontro, perché di questo si trattò.
Infatti la prima paziente – certo credo che dovrò cercare un sinonimo- giunse poco dopo allo studio, ma il dottor Rinaldi, ancora non si vedeva.
La paziente, una vecchina con un golfino rosa, si spazientì subito e cominciò a sbraitare contro Rossella, la quale commise l'imprudenza di avvicinarsi troppo e così si beccò l'inaspettato quarto schiaffo.
“E quattro!” disse fra sé, Rossella, ma ne dovette contare altri tre prima che arrivasse il dottor Rinaldi per ripristinare l'ordine e la calma. La vecchina con il golfino rosa divenne tutta un sorriso-dentiera alla vista del dottorino ed insieme –sottobraccio– entrarono nell'ambulatorio.
A Rossella non restò che dirsi: “e sette!”.
Fu a quel punto che nella sua testa balenò un motto: “dente per dente!”. Forse l'influenzò il fatto di trovarsi in uno studio dentistico, forse fu per puro caso che iniziò a riflettere sul fatto di avere sviluppato una gran faccia da schiaffi, certo è, che -vi assicuro- Rossella cominciò a tramare vendetta.
Tramava così bene che appena la vecchina con il golfino rosa ed il sorriso-dentiera uscì dall'ambulatorio, Rossella le mollò subito tre schiaffetti (in verità poco più che buffetti), che comunque alla malcapitata dovettero sembrare un vero e proprio attentato.
“E tre!” urlò con un super sorriso Rossella, mentre la vecchina si rifugiava tra le braccia del dottor Rinaldi.
Poi Rossella si diede alla fuga – mi sono sempre chiesta perché si dica così, mah, comunque-.
Percorse tutta la strada a ritroso e tornò da Mario.
Non potete immaginare la sua gioia quando a casa di Mario trovò anche sua madre.
Prese a sberle i due piccioni con una mano.
“E quattro! E cinque! E sei!” urlava, ma prima di dare il settimo si ricordò di Andrea.
Il primo amore -è proprio vero- non si scorda mai e allora uscì da quella casa-alcova e si diresse speditamente verso l'abitazione di Andrea.
Il fato volle che Andrea si trovasse altrove.
(Questo serve a me ad avere più tempo per trovare un finale decente!).
E così Rossella cercò altrove ed anche in altri posti vicini e lontani, conosciuti e sconosciuti, ma di Andrea non v'era traccia.
Non c'era nemmeno un indizio e -pensate- il cellulare le diceva che: “l'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile...”.
Questa cosa faceva andare in bestia Rossella e più di ogni altra cosa le prudevano le mani.
Una bestia con le mani che prudono -si sa- può diventare anche molto pericolosa e Rossella forse lo era o avrebbe potuto esserlo, senonché...Rossella vide Andrea.
Andrea era di spalle, ma Rossella era certa che fosse lui.
Andrea nascondeva un fascio di fiori dietro la schiena e quindi era ben visibile da Rossella.
E, infine, Andrea era sotto casa di Rossella.
In quel preciso momento a Rossella venne in mente il motivo dello schiaffo preso da Andrea.
Il motivo –so che voi vorreste saperlo almeno quanto vorrei saperlo io- non era certo un futile motivo, ma era sicuramente un motivo molto importante.
Tanto da fare ammettere alla stessa Rossella di aver avuto torto marcio -anche di questo aggettivo mi sono sempre chiesta il perché-.
Lei rivide davanti ai suoi occhi tutta la scena, ma ahimè senza audio e accettò d'aver avuto torto.
Fu in quel momento che decise di avvicinarsi alle spalle di Andrea, per fargli uno scherzetto.
Ma Andrea, che aveva sempre avuto i riflessi pronti, sentì una sospetta presenza alle sue spalle e si voltò di scatto, mollando a Rossella un sonoro ceffone.
Rossella fece un rapido calcolo ed esclamò in cuor suo: “e quattordici!”.
Poi siccome si sa che quando le donne sono felici piangono, Rossella si mise a singhiozzare e Andrea, avendola riconosciuta, si profuse in un mare di scuse e le offrì i suoi fiori.
In quel preciso istante i loro sguardi s'incrociarono - e successe quel che doveva succedere, cioè, va bé, i due si baciarono- e vissero per sempre felici e contenti!