lunedì 24 settembre 2007

Baccanaglia




C’è qualcos’altro al mondo di perfetto come un grappolo d’uva?

Se osserva con attenzione, guardando i chicchi di polpa giallo oro o blu violacei, più chiari o più scuri, grandi o piccoli, rotondi o addirittura lunghi, opachi o, più spesso, limpidi come le uova di serpente, chi ebbe la fortuna di vedere Baccanaglia, come me, non può fare a meno di farsela tornare in mente.

Ma dov’era Baccanaglia, città dalla forma di grappolo d’uva?

Orbene, lei era nel Cilento, come tutte le città delle chimere.

Baccanaglia era, infatti, adagiata sulla zona costiera tra Agropoli e Castellabate, e scendeva dal Tresino fino al mare.

Appena si arrivava, subito l’odore d’uva raggiungeva il viandante, che si trovava a percorrere un’unica via tortuosa e cedevole come una serie di ponti sollevati dal terreno.
Viadotti incredibili, assurdi cavalcavia, passerelle insensate, sconclusionate intelaiature d’acrobata si susseguivano, formando un’unica strada contorta e avviticchiata, che s’immetteva in tante altre altrettanto sghembe.
A destra e a manca, sopra e sotto i passaggi, c’era un carosello di sfere: le case, le chiese, le scuole o i negozi, le bettole degli artigiani e poi, numerose, le taverne erano in un rincorrersi di globi e di bocce.
Osterie dai nomi buffi, trattorie olezzanti, locande pulite e ordinate, cantine profumate e bottiglierie nuove o vecchie, impolverate o linde, erano dappertutto.
Il rumore del tintinnare dei bicchieri, delle fiaschette, delle bottiglie e bottigline, delle damigiane e dei fiaschi appena stappati raggiungeva, a volte, dei toni assordanti.
Tra i cincin e i plok esplosivi delle bottiglie di lambiccato, le giornate trascorrevano liete a Baccanaglia.

Tanti erano gli oggetti che, lì, si potevano ottenere a buon mercato e l’acquisto disponeva subito di buon umore.
Brocche di vetro colorato, fiaschette dalle forme balorde, boccali d’ogni dimensione, caraffe di cristallo pregiato o di materiale più grezzo, bricchi in ceramica o in porcellana, bicchieri personalizzati con scritte e con decori in varie tinte e bicchierini e boccali cesellati o lavorati a mano e pinte in argento o in peltro e giare di terraglia e orci d’ogni forma e materiale e colore erano esposti assieme a bacche d’uva e al vino bianco o rosso o rosato o grigio, freddo o di cantina, secco, frizzante o spumeggiante e dolce.

Non c’era persona che si recasse a Baccanaglia senza comprare almeno un grano o un chicco o un qualunque piccolo calice che in qualche modo ne fissasse nella sua mente il dolcissimo ricordo.

Dalla strada principale, allontanandosi dai bazar, si potevano percorrere stradine più piccole, strette e anguste. Queste si diramavano a due o a tre, erano sempre sollevate dal terreno e portavano dritto dritto, nel loro arzigogolare, agli usci o ai portoni; e poi c’erano piazze verdeggianti e morbide, vellutate, larghe e che avevano la forma dei palmi delle mani distese. Lì erano soliti andare i bambini per giocare con delle sfere simili a palloni, ma più trasparenti, avvolte in involucri sottili che talora esplodevano e, subito, tutti i piccoli da ogni dove correvano a leccare e a succhiare il succo dolce che ne fuoriusciva.

C’era anche un altro bel divertimento a Baccanaglia: era lo scivolone!
Appena fuori dal centro abitato, scendendo verso il mare, lo scivolone compariva come un bel groviglio folto di boccoli verdi e cedevoli; sembrava un insieme di riccioli di capelli, morbidi, elastici come molle ed ondeggianti a tal punto che anche un leggero alito di vento era sufficiente a farlo muovere.
Così, i ragazzi più grandi si riunivano lì e facevano vere immersioni nel vuoto; quelli maggiormente spericolati si lanciavano incontro alle onde del mare in tempesta o verso il vento invernale e restavano - ore ed ore - a ciondolarsi nell’aria e ad andare su e giù, attaccati allo scivolone.
Quei tuffi nel vuoto sapevano di volo: me lo ricordo bene.

L’ora più bella a Baccanaglia era, comunque, quella del tramonto: dal mare, il sole basso illuminava l’insieme di sfere.
La luce entrava e faceva sfavillare le case rotonde fatte di lucida polpa e di zuccherati sughi: tutto diventava trasparente come una lampadina accesa ed ogni cosa dentro era visibile fuori, proprio come succede ai sogni prima del risveglio, poi, a mano a mano, la luce del sole si spegneva a mare e come piccole lucine di un presepe, Baccanaglia si accendeva; e gli occhi di chi l’osservava si perdevano in un susseguirsi di mille globi luminosi sorretti da ponti incredibili tra cielo e mare.

In quei globi c’era la vita.

Ogni movimento dentro le case o le chiese o le bettole era visibile. Chi n’aveva voglia, poteva trascorrere le ore a guardare questo o quello: ad osservare l’ombra delle belle donne, le quali, chine, facevano il bagno o la doccia – dritte - inarcando le schiene oppure a guardare le famiglie riunite al tavolo per cenare o tanto altro che non sto qui ad elencare.
Attraverso le pareti sottili, tese, semitrasparenti, a cupola ogni gesto diventava uno spettacolo e forse era per questo, che, lì, non esistevano né cinema né teatro né circo.

La gente di Baccanaglia non aveva pudori ad esibirsi e così gli spettacoli erano, ogni volta, diversi, entusiasmanti o scontati, nuovi o ripetitivi, belli o brutti, d’amore o di violenza, però sempre veri, reali e per questo comunque affascinanti.

Quante cose si potevano osservare le notti a Baccanaglia!

Nel silenzio di quel buio rischiarato da tante lucine, le sfere parevano proprio lanterne sospese nell’oscurità e, in ognuna di loro, le piccole immagini intraviste dentro davano vita a spettacoli sorprendenti.
L’occhio, come in un caleidoscopio, passava, saltando, da un globo all’altro e poteva costruire storie diverse ed affascinanti mettendo insieme le vite di quel popolo senza vergogna.
Non era raro scorgere il corpo della propria amata tra le braccia di un uomo diverso da sé o accorgersi di furti e ruberie nella propria casa o in quell’altrui: a Baccanaglia tutto di notte era visibile e tutto era possibile. E che il tale di giorno paresse così e di notte fosse colì o che la signorina al sole paresse diversa da come era al buio era un dato di fatto che non creava scandali o stupori.


Non era nella sostanza Baccanaglia ad essere diversa dalle altre città, ma lo era all’apparenza.

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