sabato 22 settembre 2007

Baccanalia


C’è qualcosa di più bello di un grappolo d’uva?

Se osserva con attenzione, guardando i chicchi di polpa giallo oro o blu violacei, più chiari o più scuri, grandi o piccoli, rotondi o addirittura lunghi, opachi o, più spesso, limpidi, come le uova di serpente, chi ebbe la fortuna di vedere Baccanalia, come me, non può fare a meno di farsela tornare in mente.

Ma dov’era Baccanalia, città dalla forma di grappolo d’uva?

Orbene, lei era nel Cilento, come tutte le città delle chimere.

Baccanalia era, infatti, nella zona costiera tra Agropoli e Castellabate, proprio vicino al mare, verso il Tresino.

Appena si arrivava, subito l’odore d’uva raggiungeva il viandante, che si trovava a percorrere un’unica via tortuosa e cedevole come una serie di ponti sollevati dal terreno.
Viadotti incredibili, assurdi cavalcavia, passerelle insensate, sconclusionate intelaiature d’acrobata si susseguivano formando un’unica strada contorta e avviticchiata, che s’immetteva in tante altre altrettanto strambe.
A destra e a manca, sopra e sotto i passaggi, c’era un carosello di sfere: le case, le chiese, le scuole o i negozi, le bettole degli artigiani e poi, numerose, le taverne erano in un rincorrersi di globi e di bocce.
Osterie, trattorie, locande, cantine e bottiglierie erano dappertutto ed il rumore del tintinnare dei bicchieri, delle fiaschette, di bottiglie e bottigline, di damigiane e fiaschi appena stappati raggiungeva a volte dei toni assordanti.
Tra i cincin e i plok dell’esplosioni di bottiglie di lambiccato, le giornate trascorrevano liete a Baccanalia.

Tanti erano gli oggetti che, lì, si potevano ottenere a buon mercato e l’acquisto disponeva subito di buon umore.
Brocche, fiaschette, boccali, caraffe, bricchi, bicchieri e pinte e giare e orci d’ogni forma e materiale e colore erano esposti assieme a bacche d’uva e al vino.
Non c’era persona che si recasse a Baccanalia senza comprare almeno un grano o un chicco o un qualunque piccolo calice che in qualche modo ne fissasse nella sua mente il dolcissimo ricordo.
Dalla strada principale allontanandosi dai bazar, si potevano percorrere stradine più piccole, strette e anguste, che si diramavano a due o a tre e che ugualmente erano sollevate dal terreno e portavano diritte diritte agli usci e ai portoni; e poi c’erano piazze verdeggianti e morbide, vellutate, larghe e che avevano la forma dei palmi delle mani. Lì erano soliti andare i bambini per giocare con delle sfere simili a palloni, ma più trasparenti e piccoli, avvolte in involucri sottili che talvolta esplodevano e, subito, tutti i piccoli correvano a leccare e a succhiare il succo dolce che ne fuoriusciva.

C’era anche un altro bel divertimento a Baccanalia: era lo scivolone!
Appena fuori del centro abitato, lo scivolone era un groviglio di boccoli cedevoli come riccioli di capelli, morbidi, elastici ed ondeggianti a tal punto che anche un leggero alito di vento era sufficiente a farlo muovere.
Così, i ragazzi più grandi si riunivano lì e facevano vere corse nel vuoto; quelli maggiormente spericolati si lanciavano contro le onde del mare in tempesta o contro il vento invernale e restavano ore ed ore a ciondolarsi nel vuoto e ad andare su e giù, attaccati allo scivolone.
Quei tuffi nel vuoto sapevano di volo.

L’ora più bella a Baccanalia era, comunque, quella del tramonto: da ogni parte, il sole basso illuminava l’insieme di sfere.
La luce entrava e faceva sfavillare le case rotonde fatte di lucida polpa e di zuccherati sughi: tutto diventava trasparente come una lampadina accesa ed ogni cosa dentro era visibile fuori, proprio come succede ai sogni prima del risveglio, poi, a mano a mano, la luce del sole si spegneva a mare e come piccole lucine di un presepe, Baccanalia si accendeva; e gli occhi di chi l’osservava si perdevano in un susseguirsi di mille globi luminosi sorretti da ponti incredibili tra cielo e mare.
In quei globi c’era la vita.

Per tutti quelli che sono stati almeno una volta a Baccanalia, ciò che resta nell’animo del suo ricordo è il leggero senso di stordimento e di felicità malinconica, che solo quel luogo perso nel Cilento sapeva donare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

che bella quest'uva! viene voglia di affondarci il muso dentro...